Siamo a dicembre, Italia

Dicembre 14th, 2007

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Dunque la scrittura sta diventando un rifugio, una chance, una via per il successo.
Amanda Knox scrive un diario (La mia prigione), avrà pensato a Pellico? Non si scrive mai un diario per sé, per quanto segreto circola sempre un terzo a cui chiediamo di essere, un giorno o l’altro, testimone, lettore. Un diario presuppone sempre un lettore. Ma tutto questo scrivere per farsi largo negli scaffali e nelle vetrine ha un piccolo inconveniente. La letteratura ci muore.

La fede. Il ministro degli esteri Massimo D’Alema ha dichiarato di sentirsi affascinato dalla fede. Questo non vuol dire nulla. Si è affascinati dalla fede altrui? Sarebbe assurdo infatti essere affascinati dalla fede propria.
La fede o la si ha o non la si ha, il fascino è fuori luogo.
Ma di cosa è affascinato Massimo D’Alema? Di nulla.
Lui prova qua e là per garantirsi una carriera luminosa che non basta mai a se stesso. Lui è affascinato da se stesso.

La Senatrice Binetti, definita Teodem, pare utilizzi qualche volta (quando?) il cilicio. Non conosciamo il modello usato tuttavia lei dichiara di mortificare la carne.
Dolce e Gabbana sono sempre pronti nel recupero di antiche tradizioni con la regia di Tornatore.
La Signora Binetti assomiglia a Spencer Tracy, non ha nulla di femminile, non fa nulla per esserlo, si mortifica già da sola. Nessuno vuol fare peccato con lei, ma l’idea del nostro target forse è limitato. Non ha nulla di femminile. Non gliene vogliamo per questo (o forse sì…). Non le basta? Vuole anche il cilicio? Ma allora qui si gode, qui c’è piacere Marchese mio!. Vada sul canale Jimmy (SKY). Potremmo vederla scegliendo anche di non vederla. La Binetti potrebbe tentare un duo con la Pivetti che la sa più lunga, ha cominciato prima.

Il presepe, lu presepe, il presepio. Che ci mettiamo quest’anno? Nisciuno, nun ce mettimme nisciuno facimme nu presepeemmierde cha na grutticcelle sinzanisciune, tutta vote sinzanniente e nunciscassieteucazze. Le pecurelle? Fangule a te e le pecurelle. Li pasture? Ma vattinne custucazzedepasturemmierde Qua ammichiuse, vabbò? Chiuso. Te stabbene? Mittete o presepe intraoucule! Dapù te lo sfili piennemmierde e te lo mitti intravocche e te lo pulisci bene bene! Fattenculà da ò presepe e dopo canta la canzuncielle de Natale strunzò, co tutta la bocca merduosa e puzzolente cataritruovi ommemierde presepioso. Gesù sempre puro rimane nun te scurdà.

Onora il padre

Dicembre 10th, 2007

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Qualcosa in comune dovrebbero pur avere questi due libri se li abbiamo acquistati insieme.
Quello di Philip Roth lo aspettavamo, quello di Tommy Berger ci ha preso di contropiede.
Ad accomunarli non sarà certo la letteratura; troppo squilibrato il paragone e anche poco leale. Essi condividono lo sfondo ebraico, la sua cultura, che per quanto quasi annientata e frammentata regola ancora, con le sue secolari tradizioni prescrizioni e paradossi, la vita attiva e che nelle pagine di Roth sfiora il surrealismo tragicomico, come il grande scrittore ci ha abituato. La somiglianza sta nella presenza centrale della figura del padre (Padre) che nei due libri appare rovesciata.
Philip Roth narra la malattia e l’inevitabile declino di suo padre, Herman Roth, seguendo una partitura spazio-temporale ove le memorie e l’’immanenza della morte e della perdita vanno ad orchestrare una dimensione filiale (Philip ha superato i cinquant’anni mentre accudisce il padre ultraottantenne afflitto da un tumore al cervello).
Tommy Berger narra le sue disavventure finanziarie e la perdita delle sue fortune (conquistate in una vita di lavoro che va dal caffé Hag all’acqua Fiuggi sino alla Levissima) a causa di un figlio avido che cova rancore e odio.
“Mio figlio ha fatto un sacco di soldi. I miei.” Questa la sintesi feroce di Berger.
Forse se Roth figlio è quello che è lo deve in gran parte alla letteratura, all’esercizio della scrittura, e della lettura.
La letteratura ci salva?
Berger invece non aveva molto tempo per praticarla, troppo impegnato ad accumulare dollari, e del tradimento del figlio non sa farsene una ragione e l’unico modo per farsela, alla fine, è quella di scriverci un libro per raccontare al mondo l’assasinio di un padre.
Se la vita, la vera vita, del possibile e dei possibili, sta nella letteratura nulla potrà più sconvolgerci o scandalizzarci.
Quali figli ci sono toccati in sorte? Quali padri ci sono toccati in sorte?
Sono domande bibliche ancora attuali e determinismo ambientale relazioni cause-effetto genetica ereditarietà sociologismi recentissimi psicologismi psicoanalisi antropologie assistenti sociali insegnanti di sostegno preti avvocati giudici di tribunale non possono competere con la sottile vivisezione della letteratura.
Per il resto, ciascuno è di fronte alla propria coscienza, più o meno falsa, più o meno vera.

Jannis Kounellis

Dicembre 6th, 2007

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In “Tutti artisti”, del 2 dicembre di questo mese, notavamo come ormai politici e burocrati tolgono la scena all’arte e agli artisti. Ho ritrovato una intervista di qualche anno fa a Jannis Kounellis, un artista verso il quale ho sempre nutrito autentica ammirazione, non solo per la forza del suo lavoro ma anche per la sua “postura” nel sistema:
“Oggi si rischia che politica, burocrazia e amministrazioni, in preda a furori produttivi, s’impadroniscano di questo nostro terreno che deve essere fatto di idealità e poesia…”
“Come troveranno i Van Gogh di oggi senza neppure il tempo di cercare ai margini del conosciuto?…”
“Non si rendono conto che l’arte ormai va scovata dentro vite nascoste, d’opposizione, lontane dai riflettori? Non a caso stiamo assistendo all’appropriazione indebita dei territori artistici da parte delle amministrazioni, del management, della burocrazia… È come se – attraverso tutti questi personaggini che campicchiano parassitariamente intorno alla ricerca artistica – la stessa burocrazia si fosse messa a dipingere. Ci vuole un soprassalto di dignità, di rigore.”
Queste parole di Kounellis avevano sullo sfondo la Biennale della Moda a Firenze di undici anni fa, curata da Germano Celant al quale veniva contestata l’attribuzione della patente di artisti, tanto agognata dagli stilisti.
Dopo una decina d’anni, caro Kounellis, il rischio che paventavi e le tue paure sono superate, siamo ormai a mare aperto circa il furto e l’ormai irreversibile confusione di ruoli.
Sul “Governatore” della regione Abruzzo, Ottaviano Del Turco, pittore, rimando ad una lettera di Gabriele Di Pietro indirizzata al Direttore di Flash Art; su Veltroni sindaco della capitale abbiamo detto tanto e ci siamo stancati, sul “Governatore” Bassolino della regione Campania sarà difficile focalizzarlo perché è sempre in giro a contattare artisti o a chiedere prestiti a musei per arredare il suo salotto.
Ex socialisti comunisti operaisti tutti altrovisti artisti e collezionisti in tempi brevisti, presentisti competentisti e molto salottisti! Che siam forse noi qualunquisti?

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ANCHE IN ABRUZZO ABBIAMO UNO SGARBI E SI CHIAMA DEL TURCO
Caro direttore,
 seguo con attenzione quello che sta succedento a Milano, sull’arte contemporanea. Purtroppo la stessa CROCE la portiamo noi in Abruzzo, soltanto che lo Sgarbi di turno è donna, con la complicità delle istituzioni regionali. Che spendono e spandono denaro pubblico per queste mostre putrefatte già confezionate che girano in Italia come il circo Orfei (con tutto il mio grande rispetto per la gloriosa Famiglia Orfei) offendendo la cultura e la comunità Abruzzese.
Ci aspettiamo ora che la prossima mostra ci porti la salma di Salvador Dali’, con la presentazione nel catalogo del critico e tuttologo sull’arte contemporanea, il presidente della regione Abruzzo Ottaviano DEL TURCO!
Un cordiale saluto Gabriele Di Pietro dipiga@alice.it
Giulianova, Teramo

Tutti artisti

Dicembre 3rd, 2007

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L’ineffabile Sindaco di Milano, la signora Letizia Moratti, indagata per concussione e forse altro si è dichiarata serena.
È abitudine, tra i politici e tra alti responsabili istituzionali, dichiararsi tranquilli, sereni, con la coscienza a posto quando la giustizia soffia sul loro collo. Dagli anni novanta del secolo scorso evidentemente si sono sviluppate difese autoimmunitarie incredibili. Calmanti e tranquillanti sono obsoleti, c’è altro. Stanno tutti bene.
Se vuoi essere sereno e trendy devi avere qualche pendenza con la giustizia.
Se poi ti fai un pochino di galera aggiungi al tuo pedigree mancante un soffio di avventura e di maleddettismo tutto da spendere. Avere una fedina penale immacolata, dichiararsi incensurati è, nelle latitudini italiane, da perdenti. Se poi paghi anche le tasse oltre ad essere perdente sei anche un po’ fallito e vieni visto male, con sospetto.
Il maledettismo non esiste più se non nelle forme secessioniste ereditate da piccoli uomini (e donne!) post-villan -rifatti.
Il revanchismo sociale di tali esseri è dimostrato dall’interesse improvviso per arte e cultura, persino nel senso divorante di sostituirsi ad artisti ed intellettuali.
Il politico espande un ego smisurato utilizzando il potere e la conseguente presenza mediatica per essere pittore, scrittore, filosofo, regista, attore e tutta la creatività immaginabile. Se era un cantante fallito e frustrato ci torturerà con una sua canzone. Se era pittore fallito e rifiutato a scuola come Adolf Hitler ce la farà pagare in qualche modo, statene certi. Il politico-amministratore italiano cova patologie insospettate.
Vuole essere lui artista: anticonformista, provocatore, criminale, trasgressivo, perverso, lirico, sensibile, drogato, narcisista, protagonista, traditore, porco, poeta, ladro.
Vuole utilizzare tutte le scorciatoie senza saper fare un c….
O l’arte va trovata altrove o la politica è la vera arte, oggi, qui, in Italia.
Torneremo su questi argomenti, e sarà interessante fare una ricognizione tra presidenti di regione e sindaci che fanno altro (sono tutti in minuscolo evidentemente), fanno ARTE, rubando qualcosa di irrisarcibile che non riguarda più la magistratura: vogliono togliere la scena agli artisti e agli scrittori, ne sono invidiosi, è la loro ultima spiaggia. Fanno del male a tutti noi che eravamo nati, autenticamente, in altro modo da loro.

Il ricordo di Guido

Novembre 27th, 2007


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Pare che i muratori pugliesi siano i migliori, meticolosi e precisi; maestranze pugliesi lavorano nei cantieri più prestigiosi d’Europa; nelle architetture più ardite e alla moda degli ultimi anni troverete sempre un piccolo ma fondamentale tocco salentino. Michele, di Galatina, ormai pensionato, svolgeva ancora qualche lavoro ed era un referente fidato di Villa Gioia, la casa di cura ove Guido ha passato i suoi ultimi anni.
Come si potesse dare il nome “Gioia” ad un ricovero di malati di mente non deve stupire più di tanto. Le parole che spesso designano la felicità, in queste latitudini, si accompagnano alle esperienze del dolore e se la vita è una valle di lacrime essa va affrontata con rassegnazione e fiducia, con elettrochoc, camicie di forza e demolizioni chimiche della persona, non c’è Basaglia che tenga. Per il resto c’è Padre Pio, le cappelle votive, le attese di miracoli, le Madonne con le lacrime che ancora non arrivano allestite nei giardinetti in grotticine insieme ai sette nani, le gite a Sarsina, all’Averno, al Volto Santo, tutte le autogiustificazioni e autoassoluzioni per parcheggiare il parente qui, in attesa di portenti sacri accompagnati da una fiducia cieca totale e acritica nei confronti dei demolitori in camice bianco che sostituiscono la loro incapacità professionale e scientifica con la comunicazione vuota e ripetitiva, cinicamente speranzosa e ottimistica, con i parenti, scendendo al loro livello, cercando almeno di farsi accettare sul piano umano, vista la loro terrificante inutilità e pigrizia macinate nel sempre uguale delle giornate a Villa Gioia.
Ma finalmente qualcosa di tardivamente nuovo accade anche a Villa Gioia, si cominciano ad allestire le case-famiglia, spazi abitativi ove gli sfortunati vivranno in piccole comunità con progressive autonomie e conquiste di libertà.
Un medico persiano si dà molto da fare per accellerare il progetto e distribuisce ottimismo tra assemblee sindacali su capziose interpretazioni contrattuali, conflitti sui turni di lavoro e gestione delle ferie tra strategie mafiosette assenteistiche mentre lui, il persiano, il più italiano tra gli stranieri, per due anni rinuncia alle ferie e si butta eroicamente e sobriamente su quel che s’ha da fare. Inviso e invidiato dalla cricca dei colleghi medici è stimato dai pazienti e dai loro famigliari, ed è pienamente appoggiato dalle suore, pur professando una religione diversa.
Si raccomanda persino con Michele, ci sono da finire solo i bagni, montare le docce, ma Michele non ha bisogno di niente, sa il fatto suo.
Guido è sdraiato sul letto di quella che sarà la sua cameretta mentre Michele fissa al muro la doccia e va a mangiare, mentre il suo cemento con impasto salentino farà il suo lavoro.
Nel pomeriggio torna a controllare il lavoro e l’uomo prima sdraiato sul letto ora se lo vede appeso alla sua doccia per il collo con la cintura dei pantaloni e con tutta la lingua di fuori.
Ci ritroviamo una manopolina in mano quando ruotiamo un cilindretto dello stereo, le lampadine si fulminano appena le avvitiamo, la stampante del computer non va mai quando occorre, i quadri sul muro si staccano da soli, le automobili sono a scadenza limitata, il climatizzatore si rompe nel giorno in cui stiamo morendo, siamo circondati da piccole catastrofi tecnologiche e non c’è giorno in cui non possiamo fare a meno di urlare impronunciabili bestemmie contro la Madonna, a Dio onnipotente e a tutti quei Santi a cui siamo devoti per questo quotidiano che non va nonostante le stronzissime voci che con facce da culo ci ricordano la perfezione in cui viviamo. Per Michele invece le cose devono durare, vanno fatte per bene, è una sua sfida col mondo. Su una doccia così, caro il mio persiano, ti ci puoi appendere anche con i tuoi novanta chili e i tuoi un metro e ottantacinque che tiene, cazzo se tiene, ti ci puoi anche impiccare con una doccia così.

Aforismi di novembre

Novembre 24th, 2007

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Uccidere, per molti italiani, è la soluzione più facile ma non per il contribuente.

Gli sposi non sono uniti in matrimonio sino “alla” morte ma “per” la morte.

Con i tuoni Dio scoreggia, con i lampi ci fotografa.

I giovani non tirano mai lo sciacquone.

Al ristorante è inutile ordinare, nessuno ubbidisce.

Liberarsi di una moglie è facile, di una ex moglie quasi impossibile.

Invecchieremo, pagando gli alimenti a figli cinquantenni precari.

Quando si dipinge un quadro ad olio è meglio aggiungerci del rosmarino.

In carcere non si entra mai, si esce.

Entrare in carcere per sei mesi da innocente, scrivere un libro, dipingere sei o sette capolavori, far innamorare una monaca e uscirne da eroi. Fuori hai chiuso.

Uscire dal carcere dalla porta e rientrarci dalla finestra (grata), o il contrario.

Il carcere, per molti, è il fuori.

Senza telecamera non piange più nessuno.

Sangue nella Fontana di Trevi

Novembre 21st, 2007

marchetti-kafka.jpgSappiamo chi è l’autore che ha colorato di rosso l’acqua della Fontana di Trevi a Roma. Al di là del secessionismo futurista tale nome risulta anonimo e marginale nella scena dell’arte e, sicuramente, non vi appartiene.Forse, proprio perché non vi appartiene, risulta spiazzante.Ho immaginato la Roma cinematografica di Ben Hur, o i Dieci Comandamenti con Yul Brynner esterrefatto di fronte alla trasformazione dell’acqua in sangue.Roma per un attimo è tornata ai Cecile De Mille e ai William Wiler e alla Dolce vita di Fellini-Flaiano. Ma a Roma ora c’è Veltroni, sindaco-intellettuale-scrittore-critico cinematografico-doppiatore, e certe citazioni non si fanno senza il suo permesso.I turisti, ed i fotografi accorsi, avevano nella testa un immaginario vastissimo e si sono buttati a capofitto.In questo caso abbiamo l’opera, il gesto, la performance con il suo sigillo di illegalità; abbiamo il data base del moderno e del contemporaneo, abbiamo la disponibilità dei media, dei collezionisti, dei musei, delle riviste d’arte, dei nuovi parvenus, abbiamo il mercato pronto ad inglobare tutto l’apparato alimentare-digestivo dell’arte trasformando polluzioni e scorie organiche in oro.Ma, siamo spiacenti, in questo caso non abbiamo l’artista.Abbiamo l’opera, ma non abbiamo un autore all’altezza.Peccato.Possiamo tuttavia pescarlo mentre mangia un bucatino alla matriciana chiedendogli di Piero Manzoni e ci risponderà che i Promessi Sposi non l’ha mai letto.L’invidia per questo gesto colorato, leggero, diluente, non inquinante, non danneggiante il “Monumento”, rivela il suo contrario: ci sono molti artisti affermati, oggi, senza opera d’arte.Tra opere senza artista e artisti senza opera si gioca molta ambiguità dell’arte contemporanea.

Al bar e in libreria

Novembre 18th, 2007

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Al bar, di primo mattino, ora usa dire “caffettino”. Mi chiedono: “caffettino?”.
No, rispondo, vorrei un caffè. Caffettino, casina, cameretta, lettino, copertina, pigiamino (o pigiamone che è peggio), bacino, messaggino, scopatina, tutto minutino e piccolino che apre al tragico del nostro quotidiano. Se scorre del sangue, oggi, è per colpa di questa miniaturizzazione rassicurante ed autocolsolatoria che mi fa orrore.
Un nuovo mattino, una nuova barista, usa il termine “cafferino”. Ho dovuto correggerla, riportarla a “caffettino”, e poi dirle che preferivo un “caffè”. Costa un euro, vorrei la parola intera. L’omo è omo!

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In libreria cambio di personale. Ti senti dire da una commessa dopata se si è sicuri dell’autore solo perché lei è in difficoltà a digitare il suo nome. I giovani spinellati si danno delle arie professionali e, presuntuosi, attribuiscono a te l’errore.
Anche se sei vecchio ti danno del tu mentre tu continui con il lei.
Tu sei un “tu” anonimo che dà disturbo – ma che vuole questo con tutti i best sellers che ci sono in vetrina!
La sbarellata presuntuosa, bocciata a scuola o con un cumulo di debiti scolastici mostruosi e con alle spalle un corsino accelerato nel buco di culo di una confcommercio, ora ha cambiato pelle, si sente intelligente e mostrandoti il “fondoschiena”, e dandoti del tu, ti tratta da cretino. Dopo anni in cui eri cliente in libreria basta una precarietta per farti sentire un marziano. Non vai più. Si perdono i clienti e la libreria perde colpi. Chiude. Al suo posto si apre un negozio di scarpe.
La cretina dopata è ancora lì, riciclata, flessibile-precaria-presuntuosa, e sempre più stronza.

Sgarbi, Milano e il lavoro usurante

Novembre 15th, 2007

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Il futurista dannunziano assessore alla cultura di Milano, Vittorio Sgarbi, inizia inesorabilmente ad esibire i segni irreversibili dell’usura.
Il ciuffo che nevroticamente viene gettato all’indietro è un rado boschetto bianco ed il ritornello aggressivo ed insultante, giocato sulla “famosa” ripetizione ossessiva come in un rituale arcaico da malocchio, va indebolendosi e scivola in una commovente inefficacia, sfiorando infine la dimensione patetica e ridicola.
L’uomo che augurò la morte di Federico Zeri dovrà accettare l’irresistibile declino che il tempo distribuisce democraticamente.
Per il Narciso da modernariato che si è speso tanto, com’è l’assessore neomilanese, lo specchio incombe e lo sta lavorando. A tutta questa naturalità inaccettata vengono ad aggiungersi scelte culturali e mostre sbagliate, dilettantesche e regressive, che una Milano, già con il fiato corto di suo ed ormai provincializzata, sicuramente non merita.
Un Narciso sbagliato, e sgualcito, in un momento sbagliato ed in un luogo altrettanto sbagliato.
Se un ex ministro all’istruzione, oggi sindaco di Milano, sceglie un uomo così forse ci sarà, evidentemente, una logica implosiva o autodistruttiva, o solo incompetenza, o qualcos’altro che ora ci sfugge.
Ed infine, l’uomo, viene lavorato ai fianchi (o al fegato presumibilmente usurato) da interviste e assalti (questi sì happening-futuristici-creativi) che hanno il merito di far uscire il residuo di neuroni irascibili dell’uomo atrabiliare-istituzionale, creando un teatro tragicomico se non, artaudianamente, un vero teatro della crudeltà.
E in effetti, se c’è una cosa che a Milano non manca, per fortuna, sono i teatri e la cultura teatrale.
Ma non ci sono buoni testi, ed i dialoghi in questo caso, al massimo, andrebbero bene per un Grand Guignol di basso livello.

En passant

Novembre 14th, 2007

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Sfasciano e bruciano automobili e motorini, incendiano camionette della polizia ed assaltano caserme, ammazzano poliziotti, esibiscono striscioni razzisti, antisemiti e nazisti, accoltellano quando ne hanno l’occasione, mettono in scacco intere città. Vengono ancora chiamati tifosi ed il contesto viene definito come “gioco del calcio”.

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In carcere, i sospettati per il delitto della studentessa Meredith Kercher, non si fanno più canne (e altro, aggiungiamo noi) da diversi giorni. La lucidità dunque avanza e dovrebbe venir fuori quello che veramente sono. Ma cosa sono? Quel poco che riusciamo a sapere di una certa generazione, purtroppo, proviene dalla cronaca nera e dai reportages giornalistici più o meno seri.