La città di Pescara è per Ennio Flaiano il luogo fisico e immaginario dell’infanzia e della giovinezza, di una mitica innocenza – che Roma presto gli farà perdere –, delle dolci estati al mare, delle amicizie consumate nell’oziosa attesa della guerra. Ma è anche il luogo del dolore, quello di un figlio che si sente rifiutato dalla famiglia.Un padre speciale, “una specie di Grandet abruzzese, magnifico e avaro, sensuale e furbo, disonesto e sentimentaleâ€, una “madre piangente†e infine la compagnia dell’inimicizia dei suoi fratelli.Negli anni del distacco e della distanza Pescara crescerà come un blob organico, anticipando incredibilmente i tratti antropologici dell’italiano nuovo: “ credono ancora che la felicità sia nel darsi da fare, sia altrove.Sono fieri delle loro conquiste tecnologiche, tutti hanno una barca a motore, tutti credono nell’arredamentoâ€, scrive Flaiano dei pescaresi. Pescara assumerà nel tempo i tratti viventi del suo aforisma più riuscito.La città è il laboratorio avanzato per la pratica del nuovo, del moderno, dell’incessante movimento verso il futuro.La microstoria si concentra in un fazzoletto di centro storico, corso Manthoné, la strada in cui Flaiano è nato, a pochi metri dalla casa natale di Gabriele D’Annunzio. Ma la microstoria è anche occasione per restituire ad Ennio Flaiano le parole che spesso gli sono state rubate, parole marcate da una “abruzzesità †inconfondibile. Esse serpeggiano nelle sue sceneggiature più famose, da I vitelloni a Otto 1/2.Ma al di là delle parole la città originaria sarà ormai incuneata nei tratti e nei gesti dell’uomo Flaiano, “uomo dolce†e “bambino cattivoâ€.
Pescara e Flaiano
Dicembre 19th, 2008Gineceo
Dicembre 16th, 2008Il burattinaio di Palazzo Chigi
Novembre 17th, 2008La scultura pop ha apprezzato l'”abbronzatura” del nuovo Presidente degli USA mentre uno delle sue marionette ha dichiarato che dopo questa elezione americana Al Qaeda sarà contenta. Queste, a caldo, le considerazioni dell’Italia sulla vittoria dei Democratici americani. Il burattino che si crede più autorevole propone di schedare i “barboni”, i “clochard” senza fissa dimora (ma se lo sono non hanno dimora!). Sugli scioperi e sulle manifestazioni sono state usate le micidiali armate mediatiche in possesso del burattinaio per ridimensionarne la forza civile mortificando tanti cittadini considerati sovversivi (cioè non ubbidienti al gioco di fili del maestro marionettista). Al centro del mirino c’è la CGIL, il sindacato italiano più rappresentativo e forte, contro il quale si devono ancora consumare le anacronistiche vendette dei post- fascisti ai quali l’acqua Fiuggi non è mai piaciuta. Questo sindacato viene lavorato frontalmente e ai fianchi, logorando l’unità con altre sigle. La sinistra, un concetto ormai liquido ma che il marionettista solidifica per le sue performance da teatrino, è la causa di tutti i mali, terreni ed extraterreni. Luoghi di proclami cambiati: non più San Patrignano ma i Circoli del Buon Governo, il cui nome dimostra il declino della nostra lingua oltre che della comune decenza. Da questa postazione vengono lanciati siluri mediatici, come quelli contro i “lavativi”, i “fannulloni”, cioè quelli di sinistra. Di conseguenza, chi di sinistra forse non lo era più ed è impegnato a vivere una propria vita degna di essere vissuta riconsidera la sua posizione: “sì, sono di sinistra”, sono Pinocchio libero dai fili che mi costringono ad ubbidire e a divertire un pubblico scemo e voglio emanciparmi, essere uomo. Sì sono iscritto a quel sindacato, siamo milioni, sono sempre stato critico verso di esso, ma ora sento un’appartenenza. Ora veniamo al punto. C’è una relazione tra gli squadristi che assaltano la sede del Tg3, picchiano gli adolescenti che manifestano, assaltano la sede della CGIL, e l’incitamento istituzionale al linciaggio (rileggere Renè Girard)? C’è una relazione tra i balordi riminesi (probabilmente spacciatori infastiditi da presenze ingombranti) che mettono fuoco ad un “barbone” e le restrizioni legislative contro di lui? Tra i poliziotti che manganellano gli studenti (ma rimangono inerti a guardare gli ultras che devastano treni ed impediscono ad altri cittadini di vivere normalmente) c’è insomma una relazione con i proclami a raffica del Governo? Sì, c’è, non solo c’è una relazione ma vien da pensare che ci sia una orchestrazione, non solo un disegno ma una vera pittura. Questa Italia si commuove per Ileana Englaro, la Chiesa detta le regole allo Stato, la vita umana viene considerata sacra (astrattamente) mentre concretamente si vuol togliere l’assistenza sanitaria agli extra-comunitari e perseguire chi non ha una dimora fissa (in un mondo ove certezza e sicurezza di una esistenza, di per sè, sono precari). Sulla cultura torneremo in altra occasione e vedremo come la neo- fascitizzazione, nel recupero di una tradizione e nell’applicazione di un risentimento, stia disegnando le nuove mappe di un patetico posto al sole.
I giudizi sull’Italia li leggiamo non dalle prese di posizione dei nostri intellettuali e artisti ma dagli stranieri.
Italiani in trappola
Novembre 3rd, 2008Dal simbolo dell’aquila, presente nelle antiche incisioni quale simbolo della giustizia che dalla sua postazione aerea tutto controlla, siamo passati in passo breve all’occhio elettronico (e quello satellitare) che controlla i nostri movimenti quotidiani. Le telecamere che ci scrutano hanno poco a che vedere con la giustizia o con la nostra sicurezza; piuttosto esse rispondono ad una fretta sanzionatoria che pre-esiste a qualunque possibilità interlocutoria. Attraverso una tempesta mediatica sul tema della sicurezza dei cittadini lo stato limita la libertà , sia quella pubblica che privata. Gli italiani si sono intrappolati da soli.
D’altro canto, la maggioranza dei nostri concittadini proiettano all’esterno una insicurezza propria, accompagnata da una progressiva assenza di identità . Una identità che oggi non è nè nazionale nè europea. Ad una società di nonpensanti è preclusa la possibilità di mettere in relazione i fatti e le cose. L’autocensura impedisce di notare le balle spaziali del burattinaio di Palazzo Chigi che si alternano da un giorno all’altro in contraddizione con se stesse, rendendo confusa e indecifrabile la balla vera. La verità , quella, gli italiani da tempo non riescono più a percepirla. Una vocazione all’autoannientamento felice serpeggia nell’italia postfascista.
Autunno, la letteratura.
Ottobre 27th, 2008Per prima cosa viene annunciato il numero di copie vendute. Un numero impressionante. Se non ci fossero quelle vendite strepitose lo scrittore non starebbe lì in televisione a lasciarsi intervistare dal giornalista. Poi tanta vita privata e tantissimo gossip. Allo scrittore si chiederà di tutto, cosa pensa di questo e di quello. Ogni quindici secondi applausi, a scandire brevissime eternità epocali.
Non si parlerà di letteratura per non correre il rischio di pensare, ci sono gli altri che pensano per te; tu devi solo acquistare il libro. Non lo hai ancora letto? Allora sei un marginale sfigato.
Caro Roberto Saviano
Ottobre 17th, 2008Caro Roberto Saviano,se pensi di lasciare l’Italia per perseguire la tua libertà , e integrità , fai molto bene. Come ha scritto giustamente Giuseppe D’Avanzo qui gli eroi, e certo tu non volevi esserlo, vengono prima o poi fatti bersaglio con schizzi di merda. Aggiungi il desiderio mimetico del sistema letterario a cui tutte quelle copie vendute non vanno giù e prima o poi si comincerà con le analisi che spaccano il capello e se tu non sforni un nuovo romanzo la vedo dura per te. Quando il momento del discredito nei tuoi confronti sarà speculare alle minacce camorristiche quello allora sarà il momento più inquietante. In Italia è sempre stato così. Spero che ciò non avvenga. Io sono per preservare la letteratura, perchè preservando lo scrittore preserviamo anche l’uomo. Non vedrei proprio New York, piuttosto seguirei certi suggerimenti alla Philip Roth. Un luogo vicino, ove quella metropoli sia comunque raggiungibile, ci vai per quello che ti serve mentre per lavorare vedrei quasi campagna o piccola città con i servizi necessari.Se il tuo destino è scrivere non ha molta importanza la tua postazione. Sei giovane, puoi costruire nuove mappe esistenziali. I lettori aspettano un tuo nuovo romanzo, questa è la tua responsabilità e semmai fosse un alibi rimane tra i più belli. Cambia un po’ immagine, renditi mimetico se puoi.L’esperienza dei tuoi due anni è già materia per scrivere, al di là degli articoli saltuari. Non raccogliere gli articoli in un libro, scrivine uno nuovo.Cerca di non vivere di rendita ma rimettiti in gioco in letteratura.La nostalgia della tua terra potrebbe essere conservata nell’esperienza della nuova e non potrai sapere cosa sarai tra vent’anni.In bocca al lupo.
Quello sono io
Ottobre 15th, 2008La possibilità che potessi essere io quell’ammasso informe disteso sulla panchina o davanti al portone o accovacciato come una installazione tardo pop è qualcosa che ho sempre tenuto in conto da quando ho cominciato a pensare e guadagnare un pochino, diciamo intorno ai vent’anni. Sono io quel clochard, il mio destino potrebbe materializzarsi improvvisamente in quel barbone sonnacchioso che si arrotola intorno ai suoi stracci e che mi chiede l’elemosina. Se offro qualcosa non lo faccio tanto per lui ma, forse egoisticamente seguendo un investimento preventivo, per me stesso, per quello che potrei essere da un giorno all’altro, magari in età avanzata, solo, un po’ fuori di testa, un’ischemia e due ictus alle spalle, con addosso un cappotto di quattro taglie più grande (bello, ho un cappotto!) ed uno zainetto sforacchiato con dentro quei tre o quattro libri sbrindellati e salvati all’ultimo momento prima che il capovolgimento si abbattesse su di me.
In alcune perquisizioni quei libri mi hanno salvato, in altre ho preso più botte.
Ho conosciuto barboni sporchi e repellenti ma distinti e signorili parlare in perfetto stil novo, altri raccontarmi in dieci secondi la loro vita da far invidia a qualunque professionista minimalista ed io li scrutavo chiedendomi quale potesse essere la mia tipologia di appartenenza. Insomma per aiutare me stesso do qualcosa. Una volta a Roma un vecchio mi chiese di dargli qualcosina per potersi mangiare delle penne al burro. Qui è la precisione a colpirmi, la concretezza, oltre al fatto di condividere pienamente il suo menù, le penne al burro sono meravigliose. Bisogna sempre aiutare, dare qualcosa per aiutare se stessi in un giorno futuro, vedi mai la sorte, in cui saremo noi a chiedere. Se gli mettono fuoco sarò io a bruciare, se gli sputano sputeranno me e mi prenderò intera tutta la vergogna e la mortificazione e seguirò lui in tutte le zone basse e fognarie della società . Sarà dura, dovrò stare lontano dalle chiese, dai luoghi sacri e dai monumenti, mi si proibirà di chiedere elemosina, non potrò dormire nelle panchine perché hanno progettato panchine anti-barbone (pessimo design), sarò guardato con sospetto anche se in tutta la mia vita il peggio che si potrà dire è: in fondo in fondo è stato brav’uomo. Vagherò per le città come un fantasma pur essendo in grado di fare sottili analisi urbanistiche, sarò allontanato dalle chiese pur conoscendole sin nelle più nascoste e piccole pitture o decorazione o sculturetta o angioletto ma non servirà a niente perché il mio sarà un linguaggio muto e strascicato senza denti ormai e con il morso allo stomaco della fame. Gli uomini li vedo dal basso, sto sdraiato giorni interi a farmi viaggi che dimentico presto, sono confuso, poi vengo segnalato, mi portano via e non sanno che farsene di me. Una volta chiesi ad un vigile con la pistola sul fianco: ti prego, sparami.
Ma un interdetto etico preserva la vita, dall’embrione al rincoglionimento. La vita activa no. Ma, dico io, la mia vita è qui, o là , in città , sono un non residente va bene ma ho una storia non vi interessa conoscerla? no, ma se rispettate la vita io la vivo così, non mi è rimasta che questa, se sono zingaro? sì, sono anche questo, viviamo in comunità , ci piace così, ladri e stupratori? certamente ce ne sono tra noi ma io non sono così, mi chiamano buonuomo, qualcuno Professore perché ho letto la metamorfosi di Kafka in lingua ceca, se sono clandestino? ma sono anni che sono clandestino alla vita, al mondo, al consorzio umano, lo sono da quando avevo una partita iva una casa con giardinetto e la domenica gare di golf, lo ero già , ero clandestino, dovevate incriminarmi allora, ero già pericoloso a quei tempi, già covava qualcosa, ma non andate al cinema? la pre-crimine non vi dice niente? Minority Report, Spielberg… Philip Dick? già non si capisce niente quando vi parlo perché sono ubriaco e sdentato, ho venduto la dentiera.
Mi trattate come spazzatura ma non avete il coraggio di farmi fuori. I campi, già i campi, ottima idea, metteteci in qualche campo, come? chi li progetta? ci sono tante firme famose di architetti che ci si butterebbero a capofitto, qualche nome? Albert Speer? no i nomi non li faccio ho già abbastanza guai con voi, volete dei santini? ne ho centinaia, no? sono belli i santini, non ci credete più? li ho anche di Padre Pio, strumentalizzo la religione? ma è solo per mangiare diobono, per mangiare credo anche alle stimmate.
Aspettando la neve.
Dicembre 27th, 2007.
Dieci anni fa moriva Alfonso Di Nola, antropologo, autore del famoso La nera signora – Antropologia della morte e del lutto, studioso delle tradizioni popolari, e delle superstizioni, italiane.
Se qualcuno è a conoscenza di qualche iniziativa per il decennale della morte me lo faccia sapere. Per quel poco che so non mi pare ci siano stati ricordi particolari. Studioso “trasversaleâ€, originale, “impegnativoâ€, per questo dimenticato.
Stessa sorte è toccata a Roland Barthes, morto ventisette anni fa, l’autore più citato e di “moda†anni or sono ed ora completamente rimosso.
Peccato che le nuove generazioni non lo leggano, si perdono molto.
Da quando vanno scomparendo le bibliografie per sostenere esami universitari Roland Barthes è presente qua e là solo in resistenti e rari fortilizi tirati su da inattuali ed eroici docenti. Per Jean Baudrillard (Lo scambio simbolico e la morte) toccherà la stessa sorte. Michel Foucault resiste; in qualche modo Giorgio Agamben ne ha raccolto il testimonio (e Gilles Deleuze? Ernesto De Martino? E chi è Vittorio Bodini?). L’oblio è forse pronto per Carmelo Bene ma faremo di tutto per scongiurarlo. Chi medierà per i giovani? Se per trent’anni si interrompe un flusso chi farà loro conoscere l’esistenza di alcuni nodi cruciali di appena qualche anno fa?
Per molti di noi sarebbe necessario non dare nulla per scontato e ricominciare ogni volta daccapo e “divulgare†(riappropriandoci positivamente di questa parola) i nostri libri alle nuove generazioni prima che sia troppo tardi (e se fosse già troppo tardi?).
Bisogna tuttavia aspettare, sono fiducioso circa il ritorno di certi autori.
Nel frattempo noi rileggiamo i libri che già abbiamo e compriamo di meno (al mese, non più a settimana), visto che c’è poca scelta. Si traduce poco e male e non si ristampano libri che abbiamo perso appena dieci anni fa (per taluni un secolo!).
Leggendo un mese fa la biografia di Leo Castelli scritta da Alan Jones mi sono ritrovato dopo dieci pagine con la matita in mano a sottolineare gli errori; l’unico divertimento alla fine era questo, visto il contenuto assai banale del libro.
L’ultimo libro che abbiamo comprato? È un segreto.
Per concludere è necessario un chiarimento. Il libro non sostituisce la vita e l’esperienza diretta. Il libro è presente prima durante e dopo la vera vita, ci accompagna. Ma se in talune circostanze estreme la vita non è degna di essere vissuta ci sono libri che saranno sempre degni di essere letti. E scritti.
Fine di un anno
Dicembre 23rd, 2007.
Siamo seduti su di una sedia girevole con le spalle rivolte al futuro e gli occhi al passato.
Guardiamo con occhi increduli, impastati di invidia, agli uomini e alle donne che cinquant’anni fa si gettavano nella vita con le tasche quasi vuote ma con grande spirito di avventura. Si veleggiava.
Non riusciamo più a comprendere come le generazioni precedenti potessero fare, pur essendo italiani come noi ora – per giunta noi siamo anche europei! – cose fondative e leggere insieme. Quel “secolo breve†si allungherà come un brodo e ci infliggerà dure lezioni, nel bene come nell’orrore.
Tutto quello che sappiamo fare è di mitizzare il recente passato, ridurlo ad icona pop, incapaci come siamo di elaborare qualcosa di nuovo, mentre qualcuno di noi quei padri li aveva anche uccisi per superarli, ed eccoci qua tra le serigrafie di Warhol del nostro mezzo Novecento distribuite in un unico ed indifferenziato piano orizzontale.
Sento che la mia generazione di mezzo ormai è quella “tolta di mezzoâ€.
Quando qualcuno oggi si affaccia con qualche neurone in più viene affossato dalla competizione mimetica e dall’invidia.
Si veleggia costa-costa con lo sguardo alla riva protettiva non perdendo di vista la propria casa.
Qui decidono tutti, nessuno decide; siamo tutti diversi, siamo tutti uguali; tutti parlano, il deserto cresce; l’ignoranza (ignioranza) assume caratteri di specifica competenza.
In una classe di Istituto Superiore il 5% è talento da coltivare ma ci distoglie dalla salvezza ecumenica falsamente democratica.
Al Pacino
Dicembre 19th, 2007Davanti la piccola stazione c’era il nostro piccolo Al, con le due valigie appoggiate ai rispettivi piedi, un cappellaccio di cotone in testa, occhiali superoscuranti di tartaruga, pantaloni larghi di lino che sembravano accorciati da un cattivo lavaggio, sandali di cuoio quasi francescani ed una camicia anch’essa notevolmente larga con le maniche rimboccate sulle braccia sorprendentemente muscolose.
Al Pacino non ti saluta, sorride e basta; un sorriso largo che ti dice: sono qua, sono arrivato, il viaggio è andato com’è andato.
Vedendolo solo lui intuitivamente risponde, indicando dietro di sé, con il pollice della mano come il gesto dell’autostop, assicurando che Dalia era dietro di sé, al bar.
Lei appare trafelata e ipertonica, con una grande sacca informale sulla spalla ed una sporta di plastica piena di bottigliette di acqua minerale e di chinotto.
Erano irriconoscibili. Ma, mi chiedevo, irriconoscibili da cosa? Da se stessi?
Questi divi americani sanno essere insieme niente e tutto, a seconda dei contesti. Si allungano e si accorciano, come fossero fatti di chewingum, tra un film e l’altro.
Grassi e gonfi di pastasciutta come De Niro in Toro scatenato e poi mostruosamente muscolosi in Cape Fear; con la pancetta piccolo borghese di un insignificante Kevin Spacey di American Beauty e, dopo qualche giorno di palestra, già prestante e seducente; sei una timida e anonima Michelle Pfeifer in Batman il ritorno e poi sei trasformata in una elastica Catwoman con un culetto stupendo.
Se li incontri al supermarket o per strada non li riconosceresti mai. Solo i fanatici e i maniaci possiedono il superfiuto, la supervista ed il superudito per smascherarli.
Nell’Italia degli sceneggiati televisivi di Cronin, ad Alberto Lupo, che il secolo scorso interpretava il Dottor Manson, la gente chiedeva consigli medici, visite e ricette.
Per molti non era concepibile che il buon Alberto Lupo non fosse medico.
Già allora si preparava qualcosa di inquietante.
Per logica conseguenza, quando un fanatico che ti adora ti riconosce per strada, tu hai un po’ paura, ci potrebbe scappare un sequestro di persona, come in Misery di Stephen King o in Re per una notte di Scorsese o magari potrebbe volare qualche pallottola.
John Lennon docet.
Dalia ed Al erano volutamente invisibili o erano davvero così?
Domande insignificanti di fronte all’implacabile pragmatismo americano: aprire il bagagliaio, infilarci le morbide valigie di Al e il saccone di Dalia, entrare in macchina, sistemare le bevande, allacciare le cinture e partire.
«Ho detto ad Al» mi disse Dalia appena messo in moto «Che tu fumi; puoi fumare qualche sigaretta anche in macchina ma dovrai tenere il finestrino aperto, tanto lui sonnecchia, ha imparato a dormire a tempo, nelle pause del set, lo ha imparato da un giapponese che gli ho fatto conoscere. In realtà non dorme perché in qualche modo vede e ascolta, ma è come se dormisse, è lo stesso effetto corroborante del sonno vero ma senza la sua profondità ; dorme nella superficie.»
Nelle pause di questo sonno superficiale Al sorseggiava il suo chinotto mentre attraversavamo gli altopiani tosco-romagnoli.
«Anche a me piace il chinotto» dissi tanto per parlare «Lo beveva mia nonna e all’epoca, da ragazzo, non mi piaceva. Ora ho cominciato a berlo dando ragione a quella gran donna della nonna. Il chinotto per alcuni anni sembrava sparito ma poi è riapparso quello della San Pellegrino».
«Per Al» rispose Dalia «È la stessa cosa. Lui ha sempre bevuto acqua San Pellegrino, credo perché gli piacesse il nome evocandogli una sana povertà , poi scoprì il chinotto a cui ci si attacca come al latte materno. E’ stato entusiasta della tua idea di portarci al sasso di S. Francesco.»
E con il nome del sant’uomo in bocca Dalia crollò di sonno, sconfitta dai fusi orari. Sonno profondo e non di superficie.
Dietro di noi una Mercedes nera ci seguiva ormai da un pezzo, con dentro due specie di bluesbrothers che all’arrivo divennero invisibili. Dalia mi garantì che c’erano sempre, soprattutto quando non si vedevano, era il loro mestiere e venivano pagati un’enormità .