Un giorno

cielo

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Un giorno si udì come un suono di campanellino o un colpetto con le dita dato ad un bicchiere di cristallo, tin, insomma un suono magico che annunciava un cambio di scena o di regia… Tutti all’improvviso erano diventati tristi. Nelle feste da ballo, ove accompagnavo mia sorella più grande di me, i dischi che avevo il compito di mettere su erano diventati tristissimi; sui quartieri popolari era scesa una coperta funerea e melanconica che riscaldava i suoi giovani, infreddoliti all’improvviso. Qualcuno se ne stava nell’angolo lontano del soggiorno con le spalle rattrappite a fumare Gaulois ritmando con lenti movimenti della testa la canzone di Tenco:
Un giorno dopo l’altro la vita se ne va un giorno dopo l’altro la stessa vita…
Alcuni maschi si alternavano alla finestra volgendo le spalle agli altri scrutando attraverso i vetri chissà quali orizzonti lontani in attesa che una Dalida o una Jiuliette Greco si avvicinasse gli mettesse una mano sulla spalla sussurrandogli: «parliamone, non fare così», ma anche le ragazze recitavano una loro tristezza personale. Il gioco della incomunicabilità, che esse praticavano meglio, non prevedeva l’accettazione dellle nuove reti seduttive dei ragazzi così ognuno se ne stava per i fatti suoi in attesa che succedesse qualcosa senza quasi ballare più. Io mettevo i dischi e guardavo stupefatto questo strano teatro fatto di lenti movimenti e continui cambiamenti nella disposizione dei corpi tra il divano le sedie e la finestra e non capivo. Indossavano quasi tutti dei grossi maglioni, la brillantina era sparita e i capelli sembravano incolti, non ci si faceva più la barba tutti i giorni e la maggior parte di loro aveva le sopracciglia aggrottate e tristi, come se avessero perso i genitori il giorno prima o non mangiassero più da settimane con i frigoriferi svuotati di colpo, forse una carestia, il ritorno alla povertà e alle famose pezze al culo, forse la terza guerra mondiale, un’altra Hiroshima. Non si capiva.
Mentre tornavamo a casa chiesi a mia sorella perché dovevo mettere sempre quei dischi tristi e perché non si ballava più. «Non puoi capire, ci sono dei problemi, ci sono crisi esistenziali» – mi rispose aggrottando la fronte come facevano gli altri.

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