Lo so. Quando varcherò quella porta per l’ultima volta nessuno si ricorderà più di me.
Sino a ieri indispensabile, inserita quasi a forza in commissioni e gruppi di lavoro, utilizzata come figura di riferimento oltre le mie umane forze – facendomi dimenticare persino la possibilità di potermi ammalare – e da domani irrilevante e facilmente sostituibile con leggerezza e feroce noncuranza.
Allora forse ero sostituibile anche ieri, ho pensato, e potevo forse risparmiarmi tanta fatica in questi ultimi anni in cui ho resistito eroicamente alla pensione, almeno sino a quando la legge me lo ha consentito.
Nella presenza sei divorata, nell’assenza quasi ignorata, dimenticata.
Per me l’insegnamento di Italiano e Storia ha significato Letteratura e Narrazione, perché l’Italiano è nella narrazione, la Storia nel saper narrare.
La Storia bisogna saperla raccontare e per raccontarla bisogna conoscerla, avercela dentro. Mi sedevo, guardavo gli allievi in silenzio, spostavo le inutili cose poggiate sulla cattedra creando uno spazio vuoto, e iniziavo a raccontare, a costruire la Storia.
Il mio è sempre stato un fagottello leggero, un libro, al massimo due e un quadernetto. Vedo che le mie giovanissime colleghe oggi portano a scuola borsoni e zaini, alcune addirittura le trascinano con un carrello come fossero scese dal treno o dall’aereo; pare siano scappate di casa o, se sposate, in procinto di ritornare dai loro genitori.
Anche i ragazzi hanno le schiene piegate dal peso degli zaini e non posso fare a meno di ricordare con nostalgia quegli elastici colorati che trattenevano due libri e due quaderni, e nella testa di quei ragazzi c’erano pure latino, greco e filosofia.
Vado via nel momento in cui la scuola sta compiendo la sua grottesca fine, o forse mi piace immaginarla in questo modo adattando la realtà alla fine della mia carriera.
Alcuni colleghi, anno dopo anno, dicono che tra cinque, quattro, due anni finalmente andranno in pensione. È come una meta da raggiungere, con un danno, come posso immaginare, arrecato al quotidiano lavoro perché qualcuno dovrà pur pagare questa agonica attesa.
Si è pensionati, e precari, nella testa.
I colleghi hanno fatto la colletta e mi hanno fatto il regalo di congedo: la solita spilla.
Odio le spille.
Wanda Jacobelli
Sono stato allievo della Jacobelli. Grazie Prof verrò a trovarla