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Quasi un decennio fa, e forse ancor prima o subito dopo le fragili speranze dei primi anni ’90, il declino italiano era chiaro a molti. Rileggere il rapporto CENSIS del 2002, l’anno della circolazione effettiva dell’Euro, è un esercizio di memoria utile e per certi versi agghiacciante. Le parole di Giuseppe De Rita sono impietose: “La nostra società presenta oggi una stazionarietà prolungata senza contraccolpi di reattività . (…) Fra stazionarietà non reattiva e pericoli strutturali di declino, non deve sorprendere che si insinui oggi un’ambigua deriva di curvatura concava della vita collettiva.”. Non senza una vena di lucida nostalgia. Scrive infatti De Rita: “Questo è un paese che ha dato il meglio di sé quando ha attraversato l’angoscia per darsi serietà : nel poverissimo dopoguerra, nei drammatici anni ’70, nella crisi finanziaria dell’estate autunno ’92.”. L’angoscia, l’ansia, sembrano essere i soli propulsori per la “serietà “. Alle spalle di questo 2002 quasi un altro decennio, almeno dal 1993, fitto di litanìe riformiste e di favole con effetti speciali.
Ci approssimiamo al ventennio, camminando tra rovine.
Il motore di questa devastazione è stato, sicuramente, l’autoinganno. Il risveglio: tardivo ed ipocrita. Adusi a letture che spaccavano il capello, perdigiorno di analisi dei dettagli della vita quotidiana, del linguaggio, nel rifiuto dell’estasi orgiastica del potere ci ritroviamo qui ad aver ragione, la ragione del niente, spettatori degli ultimi arrivati, gli “imprenditori”, sino a ieri plaudenti e divertiti dalle barzellette del pornodivo.
Dopo il massacro sociale ed istituzionale dovrebbero arrivare loro, a dare l’ultima sconciatura delle nostre esistenze, loro che non sono stati in grado di leggere ed interpretare ciò che quel rapporto sulla situazione sociale del Paese indicava 10 anni fa (la cosiddetta new-economy era in crisi già allora!). Loro, orfani di una borghesia defunta, incapaci di mettersi in gioco, si sono autoingannati (e hanno ingannato chi lavorava per loro) ed ora, come sottoposti ad esperimenti mesmerici di risveglio forzato, pretendono di indicare la strada dello sviluppo e della rinascita. In maggioranza ignorante, qualunquista, disponibili a scorciatoie antiistituzionali e spesso illegali, la classe imprenditoriale ha danneggiato gli imprenditori stessi, quelli più intelligenti ed onesti.
Non si accettano lezioni da chi era presidente di tutto, felice gaudente del glamour e della “r” arrotata non ereditaria.
Di critiche ne abbiamo sentite di tutti i colori: pessimista, visione ideologica, pregiudizio, odio sociale, invidioso, sfigato, marginale, disfattista, comunista, esagerato, ossessionato. Come picchiare il cane solo perchè si agita quando sente un terremoto in arrivo. Sapevamo già , lo sapevamo che sarebbe stato un disastro. Ma a cosa serve oggi? A niente. Coloro che intuivano e sapevano sono coloro oggi maggiormente colpiti. Colpiti due volte: nella loro ipersensibilità sismografica (fallimentare) e nel loro stato sociale perchè pagano la crisi al posto di altri: una intera classe sociale, la classe media, soprattutto quella intellettuale e attiva nella formazione. “Chi non sa o non ricorda ripete”, recitava il titolo di una famosa mostra dei ’70 di Vettor Pisani versus Joseph Beuys . Ecco allora che l'”angoscia” di De Rita (un sociologo cattolico e “serio” non certo un rivoluzionario!) dovrà ripetersi; il fondo oscuro dovrà di nuovo riapparire per risalire in superficie. Solo che questo, si spera, dovrà riguardare le nuove generazioni, da oggi, e non mi riferisco certo all’impettito presidente dei giovani industriali che sembra uscito da una commedia di Monicelli, vestito con la solita divisa “tranquillizzante” del completo Tasmania e cravatta, vecchio da giovane e qualunquista nelle parole, la cui unica rivoluzione in vita sua è stata quella di non invitare i “politici”: poteva scegliere, invitarne altri, di posizioni diverse. Il paraocchi tende più facilmente a considerare ostacoli quelli familiari, con cui ci si è embricati subdolamente e a non sperimentare nuove strade. Stupidità o rimozione? Tutte e due! Ma oggi vince stupidità , non scomodiamo il vecchio Freud.
Mi riferisco ai giovani in sosta-impegnata sino ai trent’anni tra triennio universitario, biennio magistrale, vari masters e stages conseguenti. Quella curvatura concava della vita collettiva fotografata dal CENSIS nel “lontano” 2002 è stata assorbita dalla famiglia. Ma non può durare. L’aspettativa di vita si allunga per le nuove generazioni, per i cinquantenni-sessantenni si approssima invece l’aspettativa di morte: risparmiare su pensioni e sanità , lavoro coatto e perdita progressiva dei diritti. La vecchia lotta di classe sarà sostituita dalla lotta di età . L’età , oggi, è la “classe”.
Noi CS siamo un po’ stanchi, e siamo già passati al bosco. Scopriamo nuove strade, piccoli sentieri, dentro il nostro modesto giardino. Lo difendiamo con le unghie per paura che ci venga devastato anche quello. Quando parliamo ai giovani e cerchiamo di rappresentare la realtà realisticamente vediamo che spesso essi preferiscono racconti autoconsolatori. Auguri. C’è sempre, naturalmente, qualche unicum.
Amen