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Mi chiedo se è ancora il Novecento il luogo ove attingere risposte al nostro primo decennio del nuovo millennio.
Coloro che si sforzano di superarlo, quel secolo, proponendo il “nuovo”, e sono a loro grato, hanno però la durata di pochi mesi, me ne dispiace; un’erbetta nello scisto di una vecchia roccia metamorfica. Si tratta di un problema di generazioni? Le nuove annunciano la voluta frattura di quell’antica roccia? Si tratta di un problema di età ? Si tratta forse di una semplice risistemazione dei pezzi della scacchiera? Il nuovo e il vecchio condividono la stessa superficie? Tradizione e passato (e storia) sono un fardello troppo pesante che è preferibile scapolarlo? L’originalità può essere considerata come “nuovo”? L’originalità non potrebbe ricorrere a ciò che è stato fatto con l’alibi che ciò che si presenta come “giovane” sia per sua natura smemorato? E poi, siamo ancora sicuri che la “memoria” sia utile? Memoria e tradizione non potrebbero essere feroci tribunali del passo nuovo? Non potrebbe darsi che sapere oggi sia avversario di fare? E che un fare senza sapere, consapevole, intrattenga rapporti con la stupidità del male? E che il semplice sapere sia impotente nell’agire? Mi chiedo se coloro che non parlano e si voltano da altra parte siano ancora i sottoposti alla camera di tortura dell’intelligenza del Novecento, oppure sono razza nuova, sconosciuta, da decifrare. Perchè questa razza nuova, sconnessa e stabile insieme, mette a gambe per aria quel poco di logica che era rimasta. C’è un’ intersezione nel presente tra uomini desueti, con le gambe divaricate tra due secoli, uomini e donne ancor spendibili e forti, e le forze dell’azzeramento, del sonno senza sogni (e senza incubi), del “questo”, “ora”, appena un momento fa? Le intersezioni quali ferite producono, se le produce? La simulazione oggi come viene usata? Un bel mal di capo…