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“Quando la prima bomba atomica colpirà New York, l’edificio non verrà distrutto: Potrà volare in aria per qualche miglio, ma quando verrà giù, rimbalzerà “. Con queste parole, ci ricorda Francesco Dal Co, nel 1945 Frank Lloyd Wright illustra al pubblico newyorkese il modello della “Modern Gallery”, il Guggenheim Museum. Nell’anno del bombardamento atomico di Hiroshima e Nagasaki l’immagine evocata da Wright risulta piuttosto inquietante, oltreché bizzarra. La fiducia nelle proprie forze e capacità erano per l’architetto americano fuori discussione; l’unica architettura che si sarebbe salvata era la sua, anche perchè, secondo lui, a New York non c’era l’architettura, il suo Guggenheim sarebbe stata la prima vera opera architettonica. C’erano voluti 17 anni per portare a termine il “gigantesco portapillole”, come aveva sarcasticamente definito il Guggenheim Lewis Mumford. Da allora ad oggi bombe non sono cadute a New York, se si esclude il tremendo attentato alle due torri del Word Trade Center ritenute dai terroristi più iconiche, oltre che più “redditizie” dal punto di vista della devastazione materiale e umana.
Tuttavia, almeno virtualmente, la molla di Wright, è stata massacrata e quasi distrutta. Parliamo di cinema. Nel thriller di Tom Tykwer, “The International”, dopo una serie di vicissitudini che vede un agente dell’Interpol inseguire per mezzo mondo una grossa organizzazione criminale, le scene finali si svolgono nel Guggenheim Museum, ove si concluderà anche l’esito dell’indagine in una sparatoria forsennatta ove l’opera di Wright viene completamente sconciata a colpi di pistole automatiche e mitra. Anche la cupola viene colpita dalle raffiche di pallottole e crolla sui corpi dei criminali.
Per i cultori della religione di Wright c’è da star male nel vedere quelle immagini, mentre per i criminali, e gli agenti, quel museo è un luogo come un altro.