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Il catalogo, il “turista”, lo riceve gratuitamente in edicola, insieme all’acquisto di un quotidiano. La Confartigianato, che promuove l’iniziativa, ha fatto le cose in grande, ed il sistema di diffusione è molto efficace, capillare. La mostra si svolge nel “cuore”, nell’agorà della città , con grande visibilità . Si tratta della mostra d’arte di pittori riminesi, dal titolo “rimin’essenza, le distintive genialità dell’orgoglio riminese”.
Ne parliamo per farla finita con lo snobismo ed il distacco cinico, con la malcelata superiorità culturale che alla fine rischia di dare una mano all’ “invasione degli ultracorpi”.
Questo catalogo (dalla grafica discutibile, è una “faccia”) non dovrebbe dispiacere alla cultura leghista, o forse, in queste latitudini romagnole, il leghismo antelitteram c’è da sempre.
I “pittori” esaltano il mito della piada, del mare e del pescatore, dell’ombrellone e dello stabilimento balneare insieme alle notti riminesi degli anni Sessanta mentre è immancabile l’icona felliniana, con la solita sciarpa (che riscalda sempre meno e ci indebita sempre più). Il successo di “pubblico” è assicurato.
Ci si guarda allo specchio, uno specchio rassicurante, largamente condiviso.
L’intento “culturale” è orgogliosamente annunciato nel catalogo: “Impreparati, spaventati, frastornati e smarriti, ci sentiamo, a volte, come naufraghi alla ricerca di quelle sorgenti esistenziali che possono ancora farci ritrovare e rivivere l’eperienza rassicurante di essere attori e testimonianza di una storia e di valori comuni che continuano e si affermano nel tempo”.
Anche se questo testo di presentazione è costellato da termini come “forum”, “format”, “motore di ricerca”, “villaggio globale”, tale aggiornamento puramente di facciata non cancella l’idea che il “contemporaneo” qui è affrontato con spavento, smarrimento, naufragio. L’obiettivo, in realtà , di questa iniziativa è sinceramente spiegato dagli stessi promotori: si tratta del “core business” del fatturato turistico condito “anche” dalla cultura. Ma lo straniero si chiede: è questa ( o solo questa) la proposta culturale che dovrebbe accompagnare l'”offerta turistica”? Ad un avanzamento progressivo della cultura economica e dell’iniziativa d’impresa perchè si accompagna una cultura “regressiva”, di scarsa qualità (anche pittorica!) e squallidamente provinciale? Come mai c’è questa frattura che pare insanabile tra il ceto produttivo e professionale della città (“territorio” si dice per sancire ormai il lutto della parola “paesaggio”) e l’arte contemporanea? Le responsabilità sono solo da una parte o sono nella reciprocità ? Se le estetiche e le tecniche di questi quadri “riminesi”, in forma traslata, si applicassero ai meccanismi economici saremmo ancora alla prima pensione Kelly di Tondelli (che non dispiace tra l’altro…).
Invece i “nostri” imprenditori” sono dinamici, ma arretrati culturalmente.
Le loro associazioni di categoria lo dimostrano.
In fondo portarsi a casa un quadro “riminese”, doc, costa pochi euro; l’arte, oltre ad essere facile, è anche molto economica e ci si affranca un pò di cultura nel salotto di casa, di fianco all’home cinema.
Amministratori e politici hanno responsabilità assai gravi. Assecondano, e pensano all’elettorato, regrediscono volentieri se occorre, ammesso che abbiano una qualche competenza di base sull’arte.
Gli stanieri tuttavia tali rimangono. Il loro voto è ininfluente.
Ogni tanto si promuove una conferenza sulla cultura, ove si recita il futuro ed il mea culpa sul contemporaneo.
Ma già domani, nell’indifferenza più appassionata, sorvolano su questo tema: “Piccole cose in città : non spaventati, oltre il naufragio, per nulla smarriti, fiduciosi nel materiale dell’arte guardiamo in faccia il villaggio globale e lo rappresentiamo, ci mettiamo in gioco, oggi; alla nostalgia preferiamo la melanconia di un futuro che è già stato”.
Questo ha un costo, in tanti sensi.