Il ragazzo selvaggio

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La parola “meritocrazia” è in genere contrassegnata da un segno di negatività.

Eppure essa definisce uno spazio che riguarda il merito, la qualità, l’eccellenza, l’intelligenza, le capacità, l’individualità, a volte la genialità. La diversità.
In Italia, ad esempio, in genere si sponsorizzano le banalità, per motivi parentali, politici, per convenienze di vario genere; spesso veri idioti occupano spazi che potrebbero essere gestiti da persone di valore. Ma è pur vero che persone di valore non vogliono occupare spazi, ma abitarli, magari con leggerezza.

Nelle nostre scuole vengono spese le migliori energie non per i migliori ma, seguendo un ricatto sociologico-piagnone, i meno talentosi e che si traduce in un generale “volare basso”.

Arte e “creatività” non sono esenti da questo sistema, anzi, sono diventati paradigmi della cancellazione della qualità perchè in definitiva si pesca su concetti errati di aleatorietà ed impermanenza.

Anche qui, per accontentare tutti, si “vola basso”, guai a rappresentare le differenze se non siano prederminate dal successo, dal mercato e dal glamour.

Il gioco competitivo dell'”esserci”, piuttosto che dell'”essere”, spinge molti a tarpare l’altro, visto come minaccia alla propria (infantile) territorialità che, seppur piccola ed insignificante, viene vissuta ansiosamente come ragione di un narcisismo sociale di tipo primario.

È sempre l’insicurezza di una propria identità a determinare il “campo” di un possesso e di un potere, per quanto microscopico, e che non può esporre la propria fragilità.

Aggiungerei la folta schiera degli psicolabili che attraggono irresistibilmente da qualche decennio persone pur intelligenti e colte che scivolano volentieri nella scoperta di un nuovo Victor dell’arte, fedeli, ma fuori tempo, di Jean Itard (ma senza la sua pazienza “illuminista”).

Il sistema della formazione e quello dello star system, pur partendo da ambiti diversi, sembrano condividere il medesimo appetito: azzerare e desiderare il ricominciamento, annullare le concatenazioni e, soprattutto, svolgere il gioco più facile e fascinoso che consiste nello sferrare colpi d’ascia alla cultura occidentale, sognando di volta in volta un salvifico mattino. Morettianamente: facciamoci del male.

Dimenticando però, e qui avanzano i paladini del pensiero psicolabile (postdebole), che la cultura occidentale ha pensato anche l’impesato, e che nel suo procedere ha disseminato tutti i segni del suo autoannientamento, in forme artistiche sublimi. Lo ha detto nella forma e nella lingua che le era propria.

Siamo in ascolto di altre lingue, naturalmente.

Perchè ripeterci nel vintage e nella ricerca molto trendy del solito “altrove” quando abbiamo capolavori della nostra sconfitta?

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