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La foto di sinistra mostra l’artista Sandro Visca al lavoro, nel suo studio a Pescara, con la sua macchina da cucire. Visca è pescarese di adozione, ci vive dalla fine degli anni Sessanta, è nato a L’aquila, ma quando si trasferì a Pescara aveva già alle spalle esperienze milanesi, un bagaglio artistico ed esistenziale cospicuo che, quando si è mobili e in viaggio, si cerca di alleggerire.
Sandro Visca non è artista afflitto da ansia di prestazione o psicopatologie legate all’ambizione di una carriera. Quando approda a Pescara è giovane uomo disposto a ridisegnare nuove mappe, per sé e per gli altri.
Visca è artista della lentezza.
La decisa tranquillità del suo passo, così come lo ricordo nei lontani anni tra la fine dei Sessanta e gli albori dei Settanta del secolo scorso, e che tanto mi colpì, aveva la capacità di conquistare spazio, la sua falcata era almeno doppia di quella normale, apparentemente lenta ma capace di guadagnare metri in modo impressionante. Visca era lento ma arrivava prima.
Forse Andrea Pazienza – suo allievo al Liceo Artistico e che dedicava al maestro splendidi disegni raccolti da Fandango qualche anno fa in un volume dal titolo “Visca” – avrebbe sicuramente trovato una corrispondenza tra Sandro Visca e Gran Passo, il personaggio di Tolkien nel Signore degli Anelli, prima che si svelasse come Aragorn.
Ma questa lentezza che guadagna spazio, che si fa spazio, diviene aforisma del suo stesso lavoro e della sua posizione professionale nel panorama artistico contemporaneo. A ciò si accompagna un particolare “distaccoâ€, una elegante “distanza†da eccessivi presenzialismi ed una sorta di – per quel che ricordo – fermezza morale, e direi quasi una certa “rudezza eticaâ€, alquanto inattuali in quegli anni.
A Pescara dunque Visca vi approda intorno al 1968 e come l’artista stesso mi ricorda in una sua lettera di qualche tempo fa: mi sembrò la città ideale per svolgere il mio lavoro in piena libertà e lontano dalle tentazioni dell’affermazione.
Ma ben presto la lentezza del “gran passoâ€, il distacco, il rigore morale, la distanza ideologica, l’eleganza e la raffinata e curatissima “confezione†delle sue opere (ricordo i suoi bellissimi arazzi e gli sgargianti “cucitiâ€), vengono avvertiti come monete fuori corso tra la comunità pescarese e tra gli artisti stessi – afflitti da gravi forme di provincial-protagonismo – che pur esprimono una sotterranea ammirazione.
È seduto su una macchina per cucire, mette insieme i frammenti. Uomo antico, che ricompone l’infranto.
La foto di destra (scattata da Girolamo Geri) mostra l’artista Luigi Poiaghi intento a ricamare nella sua casa studio nella campagna tra Rimini e San Marino. Meno tecnologico di Visca, Poiaghi ricama parole bianche, nella forma di haiku su supporti appena imbottiti anch’essi bianchi:
cercare
nulla
con
la lente
e non
trovare
niente
La sua “lentezza” è barriera di “resistenza” alla chiacchiera compulsiva dell’arte ed alle lusinghe del mercato che lui ha ben conosciuti nei suoi anni milanesi. Il tempo di esecuzione permette un vagare dei pensieri, un ozio della mente, mentre l’ago sembra trafiggere e risvegliare con leggerezza il corpo stesso dell’artista. Un “naufragio” operoso. Alcune sue opere, sfiorate dal leggero rilievo del ricamo, possono essere percepite solo in particolari condizioni di luce, così da sfuggire anch’esse al glamour del visivo contemporaneo.
© Antonio Marchetti
(Leggi l’articolo: http://www.variosondamestesso.com/2007/02/20/filo-darte-ricordando-alighiero-boetti/)