L’immagine che vedete qui sopra è l’immagine “plastica” di un muro contemporaneo. Di fronte c’è una diga edilizia che ricorda i giochi postumi di Aldo Rossi. È il nuovo museo romano progettato dall’architetto anglo-iraniano Zaha Hadid, il MAXXI, nuovo acronimo che sta per museo nazionale delle arti del XXI secolo, in via Guido Reni, che dopo dieci anni dal bando di concorso è stato ultimato. È stato già inaugurato, ma è chiuso. La “vera” inaugurazione ci sarà nella tarda primavera. Nel bar di via Flaminia il barista lo considera bello e dice che lo hanno inaugurato già quattro volte mentre una studentessa dichiara che è un vomito di cemento che deturpa il paesaggio (sic!). La vista è quasi occlusa, il museo è avvolto da recinti zincati alla moda, quei grigliati che ricordano le calze erotiche femminili che oggi “smaterializzano” l’architettura ma stimolano l’immaginario. Fotografare questo manufatto è stato per noi difficile. Ma così come i mega oggetti (arredamento?) della Hadid non potevano essere toccati alla Biennale di architettura veneziana (nonostante il tema indugiava sull’antica parola “fruizione”) allo stesso modo è arduo e difficile fotografare questo museo che, vogliamo sperare, si ritiri in splendidi interni. Le dichiarazioni dell’architetto circa i suoi innumerevoli viaggi a Roma e sulle sue ricerche di impatto urbano rimangono, appunto, pure dichiarazioni. Forse la Hadid è architetto di interni. E gli interni vanno bene in qualsiasi luogo del globo terrestre. Ma innalzare ancora “muri” a Roma, per quanto si possa rendere fluido il cemento e “cristallizzare” la matematica, ci lascia perplessi. Ci penseranno gli architetti globali  a depistare le nostre impressioni pessimistiche nella nuda vita italiana, e romana, in questo fine decennio del XXI.
Archive for Dicembre, 2009
Laboratorio Roma
giovedì, Dicembre 24th, 2009Antonio Marchetti a Cansano (AQ)
lunedì, Dicembre 21st, 2009
Il paradigma dell’emigrazione ispira questa installazione di Antonio Marchetti espressamente realizzata per Cansano. Un paradigma del moderno e della contemporaneità raccolto in una pittura tridimensionale fatta di abiti, stracci e oggetti “narrativi” sulla quale si sovrappone una videoproiezione archeologica- antropologica; mentre il sonoro comprime lo spazio pressurizzandolo, in ossessivo e ripetitivo leit-motiv acustico che martella la mente e le memorie. Non si pensa solo alle emigrazioni di almeno due terzi del secolo XIX, gli italiani del ceto medio alfabetizzato, degli esuli, dei patrioti e degli aristocratici che in America o in Inghilterra fondarono riviste e imprese. Qui ci si riferisce soprattutto ai quattro milioni di emigranti tra la fine dell’Ottocento e i primi decenni del Novecento, spesso analfabeti, sino a quelli intervistati da Mario Soldati nelle banchine dei porti negli anni Cinquanta a cui chiedeva: cosa vi siete portati da leggere?
La storia si svolge per specularità rovesciate. Noi da diversi anni conosciamo l’immigrazione, siamo l’America per centinaia di migliaia di persone. Lampedusa, o le rive fatali, i centri di prima accoglienza sono la Ellis Island nostrana. I nostri comportamenti sono il riflesso nello specchio scuro di una memoria che rimesta nel corpo della nostra identità . Senza esprimere giudizi o valutazioni “morali”, più semplicemente, l’intenzione di Antonio Marchetti è quella dell’arte: invitarvi nelle proprie stanze offrendovi una narrazione contemporanea.
In fondo anch’io – scriveva Ennio Flaiano di se stesso – sono un emigrante, un emigrante intellettuale.
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A Rimini letteratura in cucina.
giovedì, Dicembre 17th, 2009
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A Roma, nei piccoli ristoranti-grotticine per turisti di Via del Pellegrino o intorno a quell’isola precaria e in parte ancora felice, che si estende idealmente sino al ghetto, non si parla più come sorpassati ristoratori ma si fa letteratura. Per l’ordinazione vi si dice: “ora vi narro le cose salienti della giornata” e di seguito la lista del mangiare. Leggere il menu è come leggere un racconto minimalista. Qui a Rimini nella serata del 21 dicembre, in una cantina dal nome affascinante, letterati si incontrano per dialogare su un libro. L’invito che ho ricevuto prevede l’adesione ad una cena successiva che si presenta allettante. Il menu viene presentato, anche qui, come “un succinto racconto”. La cosa a colpirmi è la prima offerta, l’entrèe: L’uovo e la cipolla.
Tutto è riportato alla separazione degli elementi, ricondotti a immagini primarie come in un libro illustrato per bambini. Non si tratta di uovo e cipolla, non identitari e mescolati in un unico piatto (o unica parola) e neppure di uovo con cipolla. Noi non sappiamo come gli elementi saranno giocati tra loro nel piatto su cui mangeremo. Per saperlo, dobbiamo leggere la narrazione, e dunque ordinare quel piatto. In ristoranti con clientele selezionate ci sono menu con brani di Baricco o di Hemingway. Insomma la letteratura si è sempre occupata della cucina, gli stessi termini sono interscambiabili nei reciproci mestieri ma qui è la cucina che si occupa di letteratura, che l’ha ben compresa facendola propria. Tutto dunque andrebbe allora rovesciato. La letteratura dovrebbe essere il menu stesso mentre per la cena si elencano gli ospiti letterari i quali, anche se non trovano nulla da mangiare, si mangiano tra loro per la gioia del pubblico già sazio di geniali e narrativi menu.
Caro Tartaglia
martedì, Dicembre 15th, 2009.
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Caro Tartaglia,
tu sei la banalità del male, hai fatto male a tutti noi, ci hai fatto fare passi indietro incommensurabili.
Perchè lo hai fatto? Forse perchè i tuoi quadretti luminosi non hanno avuto successo?
Aleggiano leggi speciali, come ai tempi del terrorismo, tra non molto la tua cazzata la pagheremo in molti, e si giustificheranno, con la solita manipolazione dell’imperatore e i suoi lacchè, limitazioni delle libertà individuali nell’esprimere proprie opinioni.
Ci mancava l’idiota, mancava questa figura nella patetica storia di questo quasi ventennio.
E poi, diciamolo, tutto l’apparato protettivo dell’imperatore ha fatto fiasco; mentre i ministri preposti si autoassolvono, impegnati in questioni finedimondo non sono in grado di difendere il loro padrone dall’idiota qualunque, espressione della regressione aggressiva italiana. Su questo idiota gli ex e post fascisti giustificheranno leggi speciali, anche contro questo Journal, di tipo iraniano.
Io ho ferito il cavaliere.
domenica, Dicembre 13th, 2009.
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Sono stato io a colpirlo in faccia. Non sono cose che si programmano, avverti che sei uscito da te stesso, che hai abbandonato te stesso che consideri spazzatura, puro rifiuto inutile. Ho colpito lui ma in realtà ho colpito mio padre, mio fratello, e anche mia madre, tutte persone che mi hanno ridotto la merda che sono. Di ritorno dall’igiene mentale e dalle solite chiacchiere o di ritorno dal lavoro a settecento euro verso quel tugurio di stanza giù al Naviglio Pavese dopo le ex Cartiere Binda, dove lavorava quel bastardo fascista di mio padre, ho cambiato piano per andare a sentire il cavaliere. Il capo tuonava nella piazza, con il dito sempre puntato (come faceva sempre quella bestia di mio padre) e si è avvicinato muovendo una massa di gente ed energia come Padre Pio e così, tranquillo, gli ho sbattuto in faccia quella stronzata che mi ritrovano in mano per fargli veramente male. La sua faccia col sangue che ho intravisto quando lui è stato insaccato in macchina era quella che volevo vedesse tutto il mondo. Solo dopo il gesto ho capito che lo sbotto di sangue che gli avevo procurato significava qualcosa di grande, come dicono a Dubai: un gioiello e una icona, due delle tre parole magiche. Ho pensato, mentre mi saltavano addosso, che quell’immagine sarebbe stata uno stimolo ad alcune budella immortali dell’Italia che si piega ad un dito puntato. Quel sangue, il sangue di quell’animale-uomo, finalmente uomo e non più cavaliere, avrebbe acciuffato l’immaginario storico degli italiani. “Immaginario”, la terza parola magica del mondo virtuale di Dubai-Truman Show. Spero mi metteranno in un luogo tranquillo, appena un po’ meglio del tugurio dove vivo.
Al centro dicono che sono intelligente e colto, e che potrei fare tante cose se solo lo volessi.
L’ho fatto.
Memorial Cansano
giovedì, Dicembre 3rd, 2009
CENTRO DI DOCUMENTAZIONE DI OCRITICUM
MUSEO DELL’EMIGRAZIONE
A cura dell’associazione Culturalmente
Nello spazio del centro di Ocriticum l’artista Antonio Marchetti realizzerà una installazione inedita, appositamente progettata per Cansano.
Il progetto installativo accoglie sicuramente le suggestioni del Museo dell’emigrazione – nelle immagini e negli oggetti in esso raccolti in maniera per certi versi struggente – ma soprattutto le memorie stratificate nei luoghi stessi – se non nel luogo stesso, Cansano – in cui si è deciso di realizzarlo.
Ma questo grumo di memoria, che Marchetti traduce in una disseminazione teatrale e scenonografica di vite e di mondi, è esplicitamente coniugato al presente, al nostro giorno dopo giorno ove il nostro sguardo tende sempre di più a non vedere e a distrarsi. L’intenzione di Antonio Marchetti è quella dell’arte: invitarvi nelle proprie stanze offrendovi una propria narrazione contemporanea.