La famigliola

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Qualche anno fa chiesi ad una simpatica e giovane donna, assessore di un bellissimo paese della Romagna, Bagnocavallo, ed appartenente all’allora PDS, come mai organizzasse nelle serate estive, e durante le festività natalizie, manifestazioni di basso profilo culturale giocando soprattutto su retoriche localistiche e su strategie culturali molto banali.
Provocatoriamente (era piuttosto attraente) le feci notare che in fondo non c’era molta differenza dalla cultura “leghista”, che allora cavalcava quasi le stesse idee.
Lei candidamente mi rispose che se si voleva far uscire la sera le famigliole bisognava programmare in quel modo.
La risposta mi parve accettabile e al momento persino intelligente.
Ma provai al contempo raccapriccio, come spesso mi accade, sull’uso dei termini.
La parola famigliola la trovai orripilante, tuttavia significativa di come, questa nuova sinistra moderna, intendeva muoversi nel terzo millennio.
Credere o non credere alla famiglia non è importante, era comunque un target.
In quel termine io lessi una sprezzatura, per quanto la parola indichi un concetto di famiglia allargata, e dunque apparentemente più corrispondente al contemporaneo. No, la famiglia è famiglia. Che siano due omosessuali due sorelle o due fratelli o frammenti di affettività più o meno estese, diconsi famiglie; non famigliole che fa rima con braciole braciolate piadina e sangiovese, per superficializzare, futilizzare, o autosdoganarsi dalla pesantezza ideologica della propria provenienza che si riduce poi in un comportamento psicologicamente scollato: non ci credo ma sono trendy, come si diceva allora.
Per far uscire la sera le cosiddette famigliole non era necessario un assessore ma un art-director di eventi. L’assessore, invece, si occupa di famiglie, di politica per le famiglie, di tutti noi, anche dei single che, soli ma socializzati, fanno pur una famiglia.

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