Starsene sdraiati sui gradoni roventi dell’anfiteatro della pineta, nuovo e inutilizzato con le erbacce già ben pasciute tra le fessure del cemento, starsene con il libro in mano delle vacanze: Opiè, il ragazzo serparo. Lui sì che aveva le idee chiare e il destino segnato: diventare serparo, la figura più importante del paese, ripercorrere la tradizione dei padri e dei nonni, imparare a catturare i serpenti per il Santo trascinato per le strade una volta l’anno, nero e imponente avvolto dai rettili nella processione più pagana e dionisiaca mai vista.
Starsene gettati sul quel cemento ardente con la sola compagnia degli insetti e con il libro aperto sulla stessa pagina che non va avanti.
Una noia spessa e pesante, che cala dall’alto, un nulla che ti cancella i pensieri e poi te li ripresenta in una circolarità inconcludente che ti riporta sempre sullo stesso centro vuoto. Tutti gli scenari della vita che verrà si presentano davanti agli occhi e poi si vanno ad imbucare nellla cosmica pigrizia della noia che li nullifica tutti. Il surplace era uno stato di sospensione dentro una vita attiva, dentro il gioco, un’accumulatore per una successiva sfrenatezza, qui invece tutto è passivo e inerte e ti sembra di sfiorare la morte, di provocarla, quasi di desiderarla.
Fai l’orecchio al libro, la stessa pagina 22, un bianco camposanto di caratteri tipografici sbiaditi dal sole disseminato di zanzare e mosche spiaccicate, visto che alla morte tua cominci a preferire quella degli altri, tombe di formiche che hai schiacciato con il dito scrutandone l’agonia – soffre la formica? – una macchia più grande che ha fatto sparire intere frasi prodotta dalla morte di una zecca cieca e sorda che ha sbagliato bersaglio ed è caduta sul libro, richiuso e poi aperto per verificarne la fine. Così si è negoziato con la noia. Torni nella tua palazzina, Ornella, Ambra, Vanna, non ti degneranno di uno sguardo, Rosita non la vedrai più. Quest’anno non andrai neppure dagli zii e l’odore delle donne ti è precluso, è morta zia Adelaide e la casa per almeno un anno si è richiusa su se stessa, forse stanno anche digiunando. Comincio a desiderare la riapertura della scuola e quando la Signora D’Amico, scartando lentamente l’ennesima caramella alla menta che gusterà giosamente insieme alla mia interrogazione, mi chiederà come ho passato l’estate e se ho letto il libro delle vacanze io le risponderò dicendo tutta la verità che non le ho mai detto.
« No Professoressa, il libro Paravia non l’ho letto, non lo so come va a finire la storia.
Però vorrei mostrarle pagina 22. Sembra una carta geografica o una carta militare, ma su questa pagina c’è tutta la mia estate. Vede queste macchioline piccole marroncino? Sono tutte le formiche che ho ucciso.
E queste striature che attraversano la pagina che sembrano fatte da un pennino? Sono mosche, si sono trascinate per qualche centimetro depositando le loro viscere sanguinolente. Lei è stupìta, lo vedo, dalla macchia grande che coinvolge anche la pagina 21 e che ricorda le macchie di Rorschac. È una zecca, che ho schiacciato usando il libro come trappola.
Ho fatto delle ricerche in proposito. La zecca è priva di occhi e sente la sua preda solo attraverso l’olfatto. Il segnale che lo spinge all’attacco è l’acido butirrico che io emanavo abbondantemente quest’estate dai miei follicoli sebacei. Questo essere sordo e cieco sente il calore dei mammiferi ed io quel giorno ero accaldatissimo. Quando la zecca si è lasciata cadere da una foglia che era sopra la mia testa si è trovata a gustare non il mio bel sangue caldo ma, per errore cartesiano, la pagina del libro, precisamente la pagina 22. Immediatamente ho chiuso il libro seppellendoci la zecca.
Cara Professoressa la mia estate è stata l’estate della noia, vede come ho speso il mio tempo? Vede che carneficina ho fatto? Non ho studiato e non ho imparato niente. Ma lei, comprensiva e buona, da sottoterra o da sopra la terra non so dove ora si trova, mi concederà qualche mia considerazione personale. Tutta questa noia mi è stata utile per capire la mia irrilevanza in questo mondo, il male che ho fatto a queste povere creature, ma da questo fondo funebre ho mosso qualche passettino. Lei vede meglio di me come oggi si rifugge dalla noia, guai ai ragazzi che si annoiano, bisogna riempire tutto il tempo con attività nevrotiche che madri ansiose programmano al centesimo. Guai a lasciarli soli con se stessi nell’esperienza della noia.
È grazie alla noia invece che io mi sono un po’ ascoltato e conosciuto».
(dal catalogo “Trasalimenti”)