Vanna

game

.

Nel quartiere popolare della mia infanzia, dentro il famoso palazzo-treno, ci abitava anche Vanna: l’impossibile. Splendida e inarrivabile ragazza dai capelli lunghi e castani. Il suo nome era tutto nei capelli. Se mi si chiedesse qual’è la tipica ragazza dei primi anni Sessanta risponderei: Vanna.
Anche lei, come me, veniva mandata a fare la spesa e ci incontravamo – direi che io la incontravo perché lei mi ignorava – dalla fruttivendola Olimpia (che nomi cari miei!) o da Vincenzo, dall’alimentari. Entrambi bravi ragazzi con in mano la lista della spesa.
Io aspettavo il suo turno, con le fiamme in faccia, o lei il mio, astratta e lontana. Eravamo entrambi ammirati. Allora perché non ci siamo mai parlati?
Nel quartiere ci si misurava sempre con la lotta fisica, si stava sempre a fare a botte e Vanna veniva fuori da tutto questo come il paradiso irraggiungibile.
Altra razza, altra materia corporea, congiunzione perfetta e fortunosa di geometrie genetiche irripetibili ed inquietanti per eccesso di risultato. Ecco perché me ne stavo ammutolito e pietrificato.
Il Grande Fornaio del quartiere, tra le tante varietà di pane, un giorno decise di passare alla storia sfornando questa delizia profumata e perfetta mostrandomela sotto il naso quasi ogni giorno insieme al lampeggiare del neon dello Yomo: “Yomo ogni giorno”, diceva la luminosa pubblicità. Vanna era l’impossibile impastato con l’indicibile.
Non ci siamo mai parlati io e Vanna perché ero troppo un bravo ragazzo. Quando alla fine della terza media il mio amico Quirino mi disse che Vanna si era messa con quel falso bugiardo e stronzo di Ennio, mentre contemporaneamente andava a letto con quelli più grandi, non crollò solo un mito ma, contemporaneamente, si eresse la coscienza della mia stupidità. La prima suonata di sveglia.
Le divinità amano le forme spurie, l’indifferenziato, prediligono la soglia uomo-animale e il bello si accompagna spesso con la sua sprezzatura; in quella pasta meravigliosa approntata dal Grande Fornaio io cominciavo a vedervi qualcosa che assomigliava alla lordura. Con il tempo il panificio si fece sempre più malefico sotto le spoglie del meraviglioso e del viaggio afrodisiaco e dobbiamo aspettare gli anni Settanta per una immagine più dettagliata della Gòrgone: una giovane sforacchiata dagli aghi e sdentata, con radi capelli in testa, sbattuta su un marciapiede, la cui unica realizzazione è la riappropriazione completa del suo nome: Giovanna.

Leave a Reply

You must be logged in to post a comment.