Ennio Flaiano aveva indicato almeno tre modi per leggere un libro. C’è l’abitudine, la disattenzione o la noia e certi libri sono abbandonati sui sedili dei treni.
Si legge per sospetto o invidia; sono i libri “meglio venduti” che, se li avessimo scritti noi e bisognava pensarci, avremmo guadagnato fama e denaro.
«Il terzo modo di leggere un libro – scrive Flaiano – è il più semplice, ma è proprio dei grandi lettori. Si acquista con l’età , l’esperienza, oppure è un dono che si scopre in se stessi, da ragazzi, con la rivelazione delle prime letture. si tratta di non abbandonare mai “quel” libro, di lasciarlo e riprenderlo, di “andarci a letto”. Ma poiché questo modo è suggerito soltanto dai grandi autori, col tempo si resta circondati soltanto da ottimi libri. E si diventa perfidi, si arriva a capire un libro nuovo ad apertura di pagina, a liberarsene subito. E se invece il libro convince, a lasciarlo per qualche tempo sempre a portata di mano, sul tavolo o sul comodino, poiché la sua sola vista procura un vero piacere, né si teme di finirlo presto: lo scopo di questi libri è infatti di essere riletti, di farsi riprendere quando tutto va male, quando ci sembra che la verità possa esserci confermata non da quello che succede intorno a noi, ma da quello che è nelle pagine di un libro.
Tutti i grandi libri sono stati letti e continuano ad essere letti così. È più esatto dire che non si tratta di leggerli, ma di abitarli, di sentirseli addosso. Facendone il conto, ognuno trova che i suoi si riducono ad un centinaio, largheggiando. E molti di essi hanno aspettato anni e anni prima di essere ripresi, in un giorno di particolare disgusto esistenziale. Ma è la loro forza.»
«Corriere della Sera», 27 gennaio 1972