Bruno Zevi si era chiesto anni fa per quale ragione Dio impiegò sei giorni a creare il mondo e il settimo si riposò (Ebraismo e architettura, Firenze 1993).
“Non era soggetto ad un lavoro a cottimo, poteva prendersela con calma, metterci magari quindici giorni, ciò che forse non sarebbe stato disutile per apportare alcuni ritocchi alla psiche dell’uomo e della donna. Oppure, visto che, in fondo, era non solo un padre eterno, ma il Padre Eterno, poteva creare il mondo, se non in ventiquatt’ore, diciamo in cinque giorni, poi “fare il ponte†allungando il week-end. Comunque ci mise del tempo, non lo creò di getto, si impegnò con fatica, altrimenti non avrebbe sentito il bisogno di riposare, elaborò il manufatto per tappe successive, cioè non partì da un a priori, da una idea preconcetta e cristallizzata. Iniziò l’opera empiricamente, senza saper bene dove andasse a finire, l’abbozzò in sei giorni, poi si fermò – e non è escluso che, vagliandola, non ne fosse troppo soddisfatto. Allora, perché non ricominciò daccapo? Sei giorni sono pochi anche per riformare il mondo, figuriamoci per crearlo: perché questa fretta?… Forse per lasciare al fruitore il compito di integrare la sua opera, di cooperare con Lui…â€
Stefano Levi Della Torre ha dedicato al sabato ebraico, il giorno del “riposoâ€, il giorno “vuotoâ€, alcune riflessioni affascinanti (Mosaico, Torino 1994).
“…nel silenzio, nella pausa, nel riposo ascoltiamo la voce dialogante… Il sabato è un movimento di ritrazione che si apre. La tentazione della totalità aspira ad un mondo dove, per così dire, tutti si siano impossessati del sabato, o dove nessuno lo celebri più: un mondo fusionale che incorpora le divergenze annullandole, o le esaspera e le espelle. La vocazione alla totalità , a fondersi in un tutto unificato, è una vocazione totalitaria che nega l’universalità delle relazioni: universalità contro totalità â€.
Il silenzio dialogante non si ottiene attraverso celebrazioni, tantomeno per legge.